Ero già stata da piccola a visitare la Certosa del Galluzzo, quel bell'edificio che sembra un castello delle fate, se si osserva dall'autostrada (purtroppo non l'ho fotografata da questa prospettiva). Mi ricordavo solo il gusto delle caramelle al miele che mi avevano comprato i miei genitori al termine della visita ed è per questo che ho deciso di tornare a dare un'occhiata in un freddo e umido pomeriggio di febbraio.
Il primo punto su cui mi soffermerò è questo: il freddo. Vestitevi bene, soprattutto se portate con voi dei bambini. Gli ambienti sono molto rigidi e sembra che ci sia più gelo tra le mura dell'edificio che all'esterno. Forse il periodo migliore per vedere la Certosa è a primavera.
Gli orari di apertura variano a seconda della stagione: consultateli sul sito per avere la certezza di poter realizzare il tour guidato, che si attiva solo con un minimo di 6 persone. Tenete conto che ce n'è più o meno uno all'ora e potete raggiungere la Certosa sia con la macchina, parcheggiando proprio di fronte all'ingresso, sia con l'autobus di linea, con i numeri 36 e 37.
Quando sono arrivata la visita era già cominciata dalla Pinacoteca e mi sono accodata ad un numeroso gruppo già formato. Ci siamo poi soffermati sulla Chiesa, un ambiente molto suggestivo, progettato secondo le necessità acustiche dei cistercensi che pregano cantando. Passeggiando infatti, vedrete sul pavimento dei buchi che trasformano la stanza sottostante in una sorta di cassa di una chitarra.
La guida, molto preparata, ci ha mostrato le differenze acustiche con cui si percepisce il canto gregoriano nelle diverse zone dell'edificio, e ci ha poi condotto ai chiostri, oltrepassando corridoi scuri, illuminati da vetri decorati.
Il Chiostro maggiore è davvero un posto affascinante e non solo per il bell'affresco di Pontormo che lo decora. Da qui si accede alle celle dei monaci, che in realtà erano dei piccoli alloggi, con anticamera, stanza da letto, giardinetto, vista sulle colline fiorentine. Ognuno era provvisto di una stanza inferiore per lavori manuali, come la falegnameria, e di un piano superiore che serviva per riscaldare o rinfrescare la casetta.
Lì per lì stupisce la loro grandezza: siamo abituati a pensare agli eremiti in luoghi angusti, mentre questa sorta di mini appartamenti sembra proprio confortevole. Il fatto è che i cistercensi non si ritiravano per un periodo all'anno, come accadeva di consueto ad altri ordini, ma prolungavano il loro isolamento per l'intera vita.
Penso al valore del silenzio, per avvicinarsi alla propria spirituralità, per poter ascoltare se stessi e i propri sentimenti, per costruire un equilibrio fondandolo sulla propria persona. Quanto abbiamo perso in quest'epoca di connessione continua al mondo esterno!
Proprio da queste cellette Le Corbousier ha preso spunto per progettare i suoi progetti di abitazioni popolari. Ma non è l'unico elemento moderno del posto: la guida ha definito "stile Ikea" anche un porta asciugamani e il tavolinetto che serviva per il pranzo dei cistercensi, per la loro semplicità e funzionalità.
Si prosegue poi per altri chiostri e per il refettorio, fino a terminare la visita, ad offerta libera. Dopodiché consiglio di dare un'occhiata al negozietto di prodotti realizzati dai cistercensi. Si tratta soprattutto di distillati, tra cui rosolio, amari, sambuca, grappa, di cui potete fare una degustazione a 2.50€. Vi assicuro che farsi uno shottino in Certosa è un'esperienza divertente...nonchè necessaria dopo tutto il freddo sofferto nel giro turistico! ;)
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